mercoledì 2 marzo 2016

James Joyce e la psicologia della disoccupazione





Poco prima di dormire, solitamente mi do alla lettura. Per dormire meglio, per svagarmi un po'. In questo periodo sto leggendo "Gente di Dublino" di James Joyce, una raccolta di racconti pubblicata nel 1914 ma concepita dall'autore all'incirca intorno al 1905-1906. Il libro è sicuramente affascinante, più che per le storie, sicuramente per le ambientazioni e la psicologia dei personaggi, che non compiono vere e proprie azioni, ma si trovano in situazioni, spesso di dialogo, anche a riflettere sulla loro condizione. Leggendo il racconto "I due galanti", mi sono imbattuto in questo piccolo estratto in cui uno dei due protagonisti pensa alla sua situazione che sta vivendo, ed ho trovato delle analogie a livello psicologico, con la mia situazione, anche se il contesto e il personaggio stesso sono decisamente diversi dal mio e da me:

"Era stanco di bussare a tutte le porte, di vivere di espedienti e di intrighi. In novembre avrebbe compiuto trentun anni. Non avrebbe mai avuto un lavoro come si deve? Non avrebbe mai avuto una casa sua?  Pensava a quanto avrebbe dovuto essere piacevole avere un fuoco acceso e un buon pranzo davanti al quale sedersi. Ne aveva fatta di strada con amici e ragazze. Sapeva quanto valessero quegli amici e conosceva anche le ragazze. L'esperienza gli aveva inasprito il cuore contro il mondo, eppure la speranza non lo aveva abbandonato del tutto. Si sentiva meglio dopo aver mangiato di quanto non stesse prima, meno stanco della vita, meno vinto nello spirito. Avrebbe ancora potuto sistemarsi in qualche angolino e vivere felice..."

Era stanco di vivere di espedienti e di intrighi. Ora io non vivo di espedienti (anche se il vivere "alle spalle" dei genitori lo si potrebbe anche considerare così), ma certamente questa stanchezza è la stessa che ho io. Sono stanco di cercare un lavoro, di vivere nella mia casa con i genitori, vorrei indipendenza e non vorrei di certo continuare a vivere con i piccoli guadagni che riesco a racimolare adesso. Questo passo mi dà proprio il senso di quello che prova un qualsiasi disoccupato, la stanchezza della precarietà, l'incertezza di un futuro quantomeno decente, il guadagnarsi qualcosa con piccole attività. Ovviamente lecite.
In novembre avrebbe compiuto trentun anni, esattamente come gli anni che compirò tra un mese. Sinceramente non mi sarei mai aspettato di stare ancora in questa situazione a trentun anni...
Non avrebbe mai avuto un lavoro come si deve? Non avrebbe mai avuto una casa sua? Pensava a quanto avrebbe dovuto essere piacevole avere un fuoco acceso e un buon pranzo davanti al quale sedersi. Queste sono le classiche domande che più o meno tutti i giorni un disoccupato si pone: ma nonostante tutti i sacrifici fatti, le lauree prese, i corsi frequentati, le esperienze lavorative, riuscirò mai ad avere un lavoro come si deve? Un lavoro pagato il giusto, in cui uno si sveglia la mattina, va lo compie e rientra a casa, in un ambiente familiare, favorevole, dove ci si sente davvero a casa. Ognuno riflette su quanto sarà piacevole una volta raggiunti questi obiettivi goderseli fino in fondo, giorno dopo giorno, davanti a quel fuocherello gratificante e rassicurante, senza più brutti pensieri nella testa. é ovvio che non tutti i problemi finiranno lì, ne arriveranno altri, forse di peggiori, ma al momento questo sembra il peggiore possibile...
L'esperienza gli aveva inasprito il cuore contro il mondo, eppure la speranza non lo aveva abbandonato del tutto. La speranza ovviamente c'è sempre, si spera in continuazione, qualcuno o qualcosa ci dà speranza, alcune volte fittizia, alcune volte con cattiveria, alcune volte senza basi. La disoccupazione inasprisce il cuore, lo rende più duro, fa crescere la malizia, la fiducia in amici, parenti e conoscenti vari scema sempre di più, perché non sempre, o quasi mai, parenti e amici ti capiscono o ti danno un vero e sentito appoggio. A volte giocano con la tua speranza, nessuno ti capisce fino in fondo, ed il disoccupato, alla fine, si incattivisce, o almeno perde molta del suo buonsenso e scopre la malizia, soprattutto degli altri e promette che in futuro sarà diverso, con meno scrupoli, verso tutti.
Si sentiva meglio dopo aver mangiato di quanto non stesse prima, meno stanco della vita, meno vinto nello spirito. Avrebbe ancora potuto sistemarsi in qualche angolino e vivere felice... Questo accade anche a me, la mattina ci si sveglia sempre un po' pessimisti, con poca speranza, con meno lucidità e meno ottimismo. Poi dopo un buon pranzo in famiglia, tutto sembra migliorare, si hanno maggiori speranze e si riesce a chiudere la giornata decentemente. Anche perché ad un certo punto arriva la cena, insieme ad un pacco di nuove speranze. L'umore peggiora verso sera, quando ci si sente di nuovo stanchi ed un pochino più sfiduciati. Il cibo ha davvero questo potere consolatorio, mette di buon umore, migliora le sensazioni. Adoro sempre di più il cibo, anche per questo motivo.
Questo è quello che ho potuto intravedere in questo piccolo passo dello scrittore irlandese, passo scritto nel 1906, bene 110 anni prima di oggi. La letteratura di qualsiasi genere è sempre attuale, le epoche storiche si ripetono, tutto torna. E questo passo senza dubbio lo dimostra. Leggere è sempre una buona idea. Senza possibilità di smentita. Leggere può renderti la giornata migliore, ti fa vivere esperienze che forse non avresti mai vissuto di persona, ti tiene il cervello acceso e ti dà sempre un motivo per andare avanti. Come diceva il grande Umberto Eco: Chi è analfabeta, a 70 anni avrà vissuto una sola vita: la propria;chi legge avrà vissuto 5000 anni:c’era quando Abele uccise Caino, quando Renzo sposò Lucia, quando Leopardi ammirava l’infinito…perché la lettura è un’immortalità all’indietro

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