sabato 30 aprile 2016

L'Eurostat lancia l'allarme sull'occupazione dei laureati, l'Italia non ci sente.

(foto corriereuniv.it)

L'Italia è penultima nella graduatoria europea dei laureati under 35 che trovano lavoro entro i tre anni dal titolo. Solo la Grecia fa paggio di noi. Stiamo parlando di una percentuale del 57,5%, ossia poco più della metà. Per fare un confronto indicativo, in Germania la percentuale è del 93,3%, cioè più di 9 su 10 (93 su 100), mentre noi ci fermiamo a meno di 6 su 10 (57 su 100). Vuol dire che in territorio tedesco meno di un laureato resta disoccupato entro 3 anni, mentre in Italia più di 4 su 10. Una differenza notevole. Vuol dire che ben 43 laureati su 100 hanno fatto grossi sacrifici per nulla (me compreso). 
Esiste quindi un grosso problema laureati ma nessuno lo vuol vedere, almeno a livello governativo. 

Nell'ultimo concorsone per la scuola, i laureati in lettere in prima istanza non erano stati accettati, perché per il bando e per chi l'ha scritto, la laurea non è sufficiente per insegnare. Lo stesso stato italiano non riconosce le lauree che conferisce. E per le quali investe. Uno che ha studiato lingue per cinque anni non sarebbe in grado di insegnarle. Adesso dopo vari ricorsi i laureati sono stati accettati ma con riserva, nel senso che magari si partecipa al concorso, lo si vince e poi magari un Tar decide di estrometterli di nuovo.

Lo stato italiano non riconosce i titoli accademici in molti campi. Basti pensare al giornalismo: sono necessari due anni di praticantato ben retribuito per iscriversi all'inutile albo, rimasto in piedi per questioni economiche. Mentre la laurea in Scienze della Comunicazione non basta per avere il tesserino. Perché bisogna prima farsi sfruttare per un po', poi se tutto va bene si può avere il tesserino. Così almeno si pagano le tasse all'ordine dei giornalisti (neanche fossero i templari) per scrivere. Per lavorare. Per avere tutti i privilegi di far parte di questa casta. Ma perché non diventa una libera professione come tante, dove i più bravi (forse) possono far carriera? 

Intanto nel governo, ma anche all'opposizione, nessuno ha mai proposto una legge o un'iniziativa per favorire l'ingresso dei giovani nel mondo del lavoro, men che meno i laureati. 
C'è un grosso problema occupazione giovanile, ma nessuno se ne fa carico, è all'ultimo posto dell'agenda politica, che è troppo interessata ad altre questioni che a loro volta non interessano a noi. 
Ma tant'è, la politica vive in un mondo diverso dal nostro, e probabilmente non se ne rende neanche conto, o forse più probabile, fa finta di non rendersene conto. 

E il problema laureati e giovani disoccupati resta al palo, così come il paese...

venerdì 22 aprile 2016

Aveva ragione Spalletti

(immagine presa da www.sportfair.it)

Gli avvenimenti dei giorni scorsi, con Totti decisivo in quattro giorni con tre gol e quattro punti guadagnati dalla Roma, non hanno fatto altro che confermare che la gestione di Totti da parte di Spalletti è quella giusta. 
Le partite di Bergamo e quelle in casa con il Torino hanno confermato che il capitano giallorosso è ancora decisivo, ha i colpi del campione, una classe immensa, ma che deve essere centellinato proprio come sta facendo il tecnico toscano (da una parte Spalletti sta gestendo bene il calciatore, ma male la comunicazione, perché sminuire l'apporto di Totti come ha fatto dopo la partita con l'Atalanta, è decisamente sbagliato, ingiusto e penalizzante per un campione del genere, serve solo a tirarsi addosso le antipatie della tifoseria). Lo stesso Totti dovrebbe capire che questa potrebbe essere la sua fortuna anche per la prossima stagione, dovrebbe accettare di giocare 10, massimo 20 minuti a partita, per poi entrare e decidere i match, come solo i grandi campioni sanno fare. Totti è senza dubbio il calciatore tecnicamente più forte della serie A, tutti quelli che giocano al suo posto, da Salah ad El Shaarawy, da Dzeko a Perotti, sono decisamente inferiori sotto questo aspetto, ma hanno dalla loro parte l'età e una corsa che il capitano a 39 anni non può più avere. Entrando così nel finale, con gli altri stanchi, Totti potrebbe decidere le partite in pochi minuti grazie anche solo ad una giocata, ad un tiro da fuori, ad un calcio di punizione, o a un colpo di genio qualsiasi. Non serve ormai giocare 90 minuti, dover correre per tutto il campo per magari poi uscire stanco e senza soddisfazione, meglio decidere così, da campione le partite. Questa potrebbe essere un finale di carriera assolutamente entusiasmante e degno della sua storia di calciatore da leggenda. 
Pensaci capitano, pensaci...

mercoledì 20 aprile 2016

La classe operaia va all'inferno


Da disoccupato, spesso e volentieri mi sono trovato ad "invidiare" le persone che lavorano, quelli che, a differenza mia, ce l'hanno fatta ed hanno un impiego. Ovvio che quando si è in una condizione di privazione, si desidera ardentemente quello che che non si ha, credendo che la vita di quelli che questa cosa ce l'hanno, sia tutta rose e fiori. Ma purtroppo non è così. 

Ascoltando diverse testimonianze di operai, quelli che mandano avanti un'azienda, quelli senza il cui lavoro non esisterebbe la produzione, non ho potuto far altro che notare che la classe operaia viene quotidianamente bistrattata dall'imprenditore di turno. Non sarà una condizione generalizzata, ma i diritti dei lavoratori vengono ogni giorno calpestati da imprenditori senza scrupoli, che approfittano della situazione attuale di crisi lavorativa e occupazionale, per abbassare ogni giorno i diritti acquisiti in anni e anni di lotte operaie dai lavoratori. é proprio il caso di dire che la classe operaia non va più in paradiso come nel celebre film con Gian Maria Volonté, ma va dritta all'inferno. 

Alcuni imprenditori di oggi approfittano della scarsità di posti di lavoro per non avere opposizione, per tenere sotto scacco e sotto "ricatto" gli operai, "tanto se non fai quello che dico io, fuori c'è la fila di chi è disposto a prendere il tuo posto...". Un ricatto latente, magari non espresso chiaramente, ma che aleggia nell'aria come un fantasma, pronto ad insinuarsi nella mente delle persone, che sono costrette ad accettare qualsiasi condizione lavorativa, ad accettare umiliazioni, il tutto per mantenere quello stipendio che permette ad un operaio di mandare avanti la famiglia, pagare le bollette, magari il mutuo. I sindacati ormai non possono nulla o quasi contro l'imprenditore, solitamente una volta rifiutata la trattativa, il sindacalista abbandona il terreno, perché ormai non può far leva su niente, o magari anche lui ci guadagna qualcosa. Minaccia uno sciopero? E chi aderisce? Tutti, come si faceva un tempo? Non credo. Chi per un motivo, chi per un altro, non parteciperebbe, lo sciopero risulterebbe inadeguato e magari coloro che aderiscono puniti, o forse direttamente licenziati, con tutti quelli che ci sono in coda per prendere il loro posto... 

Non dico che la crisi economica sia stata indotta per questo, ma forse questa ipotesi non è tanto campata in aria. Le persone ormai sono costrette ad accettare tutto, perché un altro posto di lavoro dove lo trovano se perdono l'attuale? Sarebbe molto difficile. Quindi magari si accettano turni di lavoro massacranti, straordinari non pagati, permessi non retribuiti, il vestiario ormai lo si deve comprare per sé, dati presi dai badge contraffatti, controlli piuttosto "lenti" di chi dovrebbe controllare che tutti i diritti vengano fatti valere, intimidazioni sotto forma di lettere di richiamo, licenziamenti facili e pretestuosi.

Tutto questo accade per ignoranza, perché alcuni imprenditori non capiscono che se loro hanno molto denaro, fanno belle vacanze, hanno belle case e comprano belle macchine, il merito è tutto di coloro che si alzano al mattino alle 5, e vanno a lavorare nella loro fabbrica. Un operaio contento, rilassato, coinvolto, è un operaio produttivo, sereno, sbaglierà di meno, si lamenterà di meno, produrrà di più. Un operaio terrorizzato, nervoso, scontento, produrrà sempre meno, e sarà sempre meno fedele, sbaglierà di più. A chi converrebbe tenerlo contento ed orgoglioso del proprio lavoro? La risposta è semplice. 

La classe operaia è oggi all'inferno, troverà la forza per tornare ad essere forte e compatta come una volta?  Anche gli operai stessi hanno le loro responsabilità perché nessuno ha più il coraggio di tentare di rompere lo status quo esistente, nessuno si oppone più come una volta, mentre all'interno della classe operaia stessa, le divisioni la fanno da padrone. Il dividi e comanda è ancora molto attuale, la classe operaia dovrebbe reagire. Altrimenti resterà all'inferno ancora per molto...

lunedì 18 aprile 2016

Il fallimento del referendum, la credibilità e la chiarezza della politica.


Il referendum è fallito. Il quorum non è stato raggiunto, tutto resta com'è, con le trivelle funzionanti, ancora in moto, le estrazioni che continuano, non è cambiato niente, solo che si è avuto modo di capire che nel nostro Paese tanta gente non vota più, non ha interesse a farlo, non viene coinvolta in questioni così importanti ma soprattutto non crede più nella politica. E come dargli torto?

Questo era un referendum in cui la questione puramente politica in se doveva essere assolutamente secondaria, e invece i partiti si sono fiondati come avvoltoi sul referendum per trasformalo in un pro Renzi ed un anti Renzi. Sì per dire no al premier, e viceversa. Generando confusione, a livello comunicativo soprattutto. Tutti indistintamente, hanno portato avanti una verità parziale, nessuno ha spiegato davvero bene in cosa consisteva il referendum, se ne sono dette e scritte di cotte e di crude tanto che il cittadino medio, che solitamente è restio ad informarsi, non ci ha capito nulla ed ha preferito non esprimersi. I partiti ormai non sanno più come recuperare la loro credibilità e continuano a sbagliare a livello di comunicazione, cercando di portare l'acqua al proprio mulino in qualsiasi occasione, magari non raccontando tutta la verità. E con la conseguenza di perdere ancora credibilità e voti. 

D'altronde come fa il cittadino a fidarsi di partiti e politici vari, come fa ad andare a votare, quando ormai anche il voto ha avuto un ridimensionamento di importanza davvero notevole. L'ultimo governo Berlusconi è stato sostituito dal governo Monti che ha governato per due anni senza essere stato votato da nessuno. Mentre dal 2014 ad oggi abbiamo un governo Renzi che va avanti nonostante non sia stato votato da nessuno. Quindi adesso, quando per il referendum si parlava dell'importanza di votare, la gente si sarà anche sentita presa in giro. Adesso per il referendum il voto è sacro, mentre ci facciamo governare da un uomo che non abbiamo votato noi. I dubbi sull'importanza permangono, votare è un diritto sacro ed inviolabile, ma questo vale in certe occasioni sì e in altre no? Bisognerebbe mettersi d'accordo. 

Inoltre la gente è ancora scottata dal referendum sull'acqua pubblica del 2011, quando dopo aver votato, non ha visto cambiare assolutamente niente. Anche perché anche in quel caso non si votava per quello che si è detto, ma per aspetti diversi, mentre alla gente è stato comunicato che l'acqua sarebbe tornata pubblica, con notevoli vantaggi. Dove l'acqua è ridiventata pubblica? Credo da nessuna parte. Comunque gli effetti del voto non sono stati tangibili, e le persone hanno perso fiducia anche nell'istituzione referendum. 

Inoltre la questione era davvero complessa, ho letto, mi sono informato, ma alla fine, decidere se votare sì o no era davvero arduo. Tutte e due le posizioni avevano punti che mi convincevano, erano comunque posizioni condivisibili, la materia molto complessa, decidere non era assolutamente facile. Figuriamoci per chi non si è informato o solo parzialmente, magari ascoltando qualche politicante in tv. Capire, mission impossible. 

Per tutte queste cause secondo me il referendum è fallito, la politica, vivendo in un mondo a parte, darà le sue letture del voto, ovviamente non tenendo conto delle persone, delle motivazioni e delle circostanze. Penseranno ad un pro Renzi, ad un anti Renzi, a biasimare chi non ha votato, perché il voto è sacro, sì, ma solo quando lo dicono loro. 

venerdì 15 aprile 2016

L'ardua impresa di andare allo stadio in Italia


Andare allo stadio in Italia è diventata davvero un'impresa difficile, una mission impossible, tanto che ogni domenica le persone che decidono di andarci sono sempre meno, gli impianti si svuotano, mentre i divani si riempiono. D'altronde le tv pagano e le società sono interessate solo a questo. 
Qualche tempo fa decido, con leggerezza, di andare a vedere una partita di serie A, di cui non dirò le squadre coinvolte, perché credo che queste difficoltà le abbiano in tutte le città d'Italia. 

Non andavo allo stadio da ben 5 anni, dal 2011, e sembra un'eternità in termini di organizzazione e difficoltà logistica di andare ad una semplice partita di calcio. 

Passo 1: la tessera del tifoso

Come ben so, da qualche anno c'è bisogno di una benedetta tessera del tifoso per seguire la propria squadra in trasferta, fin ad ora non l'avevo mai fatta ma per fare il biglietto è assolutamente necessaria. Quindi mi collego al sito della mia squadra, riutilizzo foto vecchie di altri documenti, compilo il modulo online con millanta dati, pago, mi arriva la mail con il codice della tessera. Costo del tutto: 12,50 euro. Dimenticavo, ovviamente, se avessi sbagliato qualcosa, la foto, qualche dato o altro, i soldi non mi sarebbero stati restituiti e la tessera annullata. Tutto a favore del tifoso. Bene. Spero che tutto sia andato per il meglio e infatti dopo una settimana (sono stato fortunato, alcuni mi hanno raccontato di attese interminabili per riceverla) mi arriva questo pacco con la tessera, ma dalla lettera che la accompagna capisco che non è finita qui, la tessera non è attiva, va attivata portandola o allo stadio della squadra in questione, oppure in determinati punti vendita in cui può avvenire il riconoscimento. Una volta arrivati al punto vendita mi dovrò sottoporre ad analisi del sangue, alcool test, test di matematica, morra cinese ecc. Togliendo l'ultima parte è tutto vero. Il punto vendita più vicino casa mia è a 120 chilometri. Fortunatamente non serve presentarsi di persona, o forse sì, ma le biglietterie fanno un po' come vogliono, quindi capita che un mio cugino che deve venire a vedere la partita con me, debba recarsi nei pressi di un punto valido per il riconoscimento, gli do tutti i miei documenti, lui va e mi attivano la tessera... Un iter semplice e veloce che avrebbe scoraggiato molti, ma tant'è... Il primo passo per la conquista dello stadio è fatto! (ma quanta burocrazia...)

Passo 2: I biglietti

Per il settore ospiti sono disponibili solo 2000 biglietti, ma, chi non è iscritto a nessun club della squadra deve aspettare l'ultima settima prima del match per comprarli, perché i soci dei club hanno la precedenza. Quindi per avere il biglietto con certezza avrei dovuto spendere, 12,50 per la tessera del tifoso, 30 per la tessera del club, 25 per il biglietto, ben 67,50 euro per  essere certo di poter assistere ad una partita di serie A... Roba da pazzi. Insomma, ovviamente decido di non comprare i biglietti dal club e risparmiare 30 euro, se riesco vado a vedere la partita, altrimenti no. Primi segni di cedimento psicologico. 
Vengo a sapere che i club hanno risucchiato 1200 biglietti, ne restano 800. Qual'è il problema, ci si mette di buon ora davanti al pc, si aspetta aprano la vendita online ed è fatta. Ottimismo senza fondamento, la vendita è vietata online. Nel 2016 non vendiamo biglietti online. Evviva il progresso. C'è da fare la fila in qualche biglietteria. Cerco su internet i punti vendita che aprono il lunedì mattina presto, ne trovo uno, perché molti o non aprono il lunedì, o aprono tardi, quindi potrebbero finire i biglietti. Telefono al punto vendita per informazioni, mi dice che ci proveranno a fare questi dannati tickets. Bene. Il lunedì successivo di buon ora mi metto in macchina, e vado nel punto vendita che apre alle 9, per essere uno dei primi, vado alle 8 e sono il primo. Ormai è una questione di principio. Il tipo della ricevitoria mi dà dei foglietti di carta con una penna, devo addirittura fare i numeretti alle persone che verranno dopo. Ottimo. Almeno passo il tempo. Faccio i biglietti a questi poveri disgraziati come me e arrivano le nove,  ma vengo a sapere che la ricevitoria ha un tot di biglietti ordinati per parenti e amici, che deve fare prima di tutti. Legale o no che sia, la ricevitoria apre alle 9 e 10 circa, entro, sono il primo, ho il mio biglietto! Finalmente! 25 euro (?!?) e poi ci si lamenta perché la gente non va allo stadio. Chi lavora avrebbe potuto fare tutto questo? Ma qualcuno ci pensa a questo? No.

Passo 3: L'arrivo della squadra

Questa è una punizione che decido di infliggermi da solo, andiamo a vedere l'arrivo della squadra in un albergo nelle vicinanze,  lo faccio soprattutto per mio cugino più piccolo (diciamo di sì...) che non avrà molte altre occasioni di rivivere esperienze del genere. Andiamo lì e c'è una marea di gente in attesa. Arriva il bus, calca incredibile, i poliziotti ci tengono fuori dal piazzale invece di agevolarci nella visione di questi calciatori che scendono dal bus, ma all'arrivo del mezzo, si scatena il parapiglia, le forze dell'ordine non reggono più nessuno, la gente scavalca e va dentro distruggendo letteralmente una siepe, solo per vedere i giocatori dal vivo. Tanta repressione all'inizio, poi le forze dell'ordine si fanno sorprendere da una siepe. Bene. Inizialmente rimango fuori per non partecipare ad azioni così vandaliche, poi con più calma entro e non vedo assolutamente nulla. I calciatori ci fanno il piacere di salutare dalle finestre dell'albergo, c'è chi giura di aver visto anche figure celestiali, a me invece sembra di partecipare ad un grosso acchiappa la talpa, con calciatori che si affacciano in finestre diverse ogni tot di minuti. Decido di andarmene a casa. 

Passo 4: il giorno della partita

La partita è alle 15, primo problema è il parcheggio. Dopo il pranzo. Abito a 10 minuti dallo stadio, però per vedere una partita alle 15, per trovare parcheggio, parto da casa alle 12 e 30. 2 ore e mezzo prima. Parto, città blindata, passaggi segreti attivati, itinerari strani, polizia ovunque, di ogni tipo a deviare traffico e auto. Un caos. Riesco ad accedere ad un parcheggio, decido che è meglio mangiare fuori dallo stadio, quindi in macchina. Vedo che c'è molta gente che la pensa come me. Tutti in macchina a mangiare. Mangio il mio panino leggero, poca acqua perché i servizi igienici diciamo che non sono un granché, quindi meglio evitare. Finito il salutare cibo, decido di entrare per evitare le file del controllo più tardi. Trovo l'ingresso del settore ospiti, molta polizia, la partita è considerata ad alto rischio. Iniziano i controlli. Prima il biglietto con documento. Fatto. Secondo altro biglietto con visione del documento. Uno prende la carta d'identità, la guarda, ha dubbi se quello in foto sono io, lo passa ad un altro steward che decide che sono io. Bene, posso entrare. Vengo sommariamente perquisito, aspetto che perquisiscano mio cugino che ha una piccola sacca con i k-way anti pioggia dentro. Non lo avesse mai fatto. Parte la perquisizione, svuotano il sacchetto, trovano un giornale che ingenuamente abbiamo raccolto nei pressi dello stadio, sospettano sia un infiltrato dell'altra tifoseria. Gli chiedono se ha stemmi della squadra di casa da qualche parte, gli rispondiamo di no, può passare. Rimette tutto nello zaino, mentre fa questo un poliziotto ci invita ad andare ad aspettare dentro dopo 5 secondi in cui siamo impegnati nella ricostruzione del sacchetto. Vado in bagno, meglio del previsto, poi in curva finalmente. Trascorro le due ore più tranquille da quando ho deciso di andare allo stadio, anche se sotto la pioggia mi bagno dappertutto. Un dettaglio. 

Passo 5: il post partita

Partita ad alto rischio. Usciamo tutti insieme con i tifosi di casa, quelli venuti da fuori risalgono sui bus e se ne vanno. Quelli che invece sono della stessa città o delle zone circostanti, ma di tifo opposto, escono dal settore e sono subito in strada insieme ad i tifosi di casa. Partita ad alto rischio. Cosa succederà mai? Alcuni imbecilli si scontrano con alcuni tifosi di casa e si picchiano, si lanciano pietre e si danno aste di bandiere sulla schiena. Arriva la polizia in massa e ferma tutti presidiando la zona. Con qualche semplice precauzione tutto questo probabilmente si sarebbe potuto evitare, ma tant'è. Mentre sto uscendo sento urla, e vedo polizia e gente correre verso di me, negozianti impauriti chiudono le serrande, io mi posiziono vicino ad una parete fermo per evitare qualche manganellata, schiaffo e sassata che sia. Dopo qualche minuto di concitazione finalmente riesco ad arrivare alla macchina, fare due ore di coda e tornare a casa per le 18 e 30. Una bella giornata di sport. 

Se ci si chiede come mai la gente non va più allo stadio, in questo articolo ho tentato di dare qualche risposta. Traete voi le conclusioni. é più facile vederla in tv o dal vivo? Chi lavora ha tutto questo tempo a disposizione per burocrazia varia, biglietti, parcheggi, controlli e quant'altro? 
Questa è l'odissea di chi vuole vedere una partita di calcio. é tutto normale?    

giovedì 14 aprile 2016

Per farla semplice, guida pratica al referendum. Gestire il post trivellazioni



Questo è il testo che ci troveremo di fronte nel referendum a cui dovremo partecipare il prossimo 17 aprile (un po' criptico come tutti i referendum, ma la questione è piuttosto chiara, e non si tratta di scegliere tra trivellazioni o no, queste sono già state vietate e non potranno più essere fatte, si tratta di scegliere,  in parole povere,  se sfruttare ancora quelle già esistenti o meno):

Volete voi che sia abrogato l’art. 6, comma 17, terzo periodo, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, “Norme in materia ambientale”, come sostituito dal comma 239 dell’art. 1 della legge 28 dicembre 2015, n. 208 “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)”, limitatamente alle seguenti parole: “per la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale”?

In pratica non c'è da scegliere tra chi è a favore delle trivellazioni e chi no, come tutti i media hanno semplificato in questi giorni, e anche tutti i partiti politici, in quanto le trivellazioni sono già state vietate, quindi non potranno essere iniziate di nuove in mare aperto. Si tratta di scegliere se far continuare a sfruttare quelle già esistenti (ne sono rimaste una decina) fino ad esaurimento del metano e gas estraibile o se bloccarle già da adesso, con effetto immediato. Si tratta quindi di gestire un post-trivellazioni, in quanto queste sono già state fatte negli anni scorsi, si tratta solo di decidere se continuare lo sfruttamento, tanto il danno ambientale è già stato fatto, o se interromperlo immediatamente, con la possibile conseguenza che l'Italia sarà costretta a comprare questo tipo di energia dall'estero. 

In pratica chi vota Sì vuole bloccare queste piattaforme di estrazione da subito, con il danno ambientale già compiuto con le trivellazioni, mentre chi vota NO vuole che l'estrazione continui fino ad esaurimento dei materiali estraibili, tanto la trivellazione è già stata fatta e quindi meglio estrarre quello che si deve estrarre e poi addio trivellazioni per sempre. D'altronde il futuro sono le energie rinnovabili, per fortuna. 

venerdì 8 aprile 2016

Quanto ci costano i mesi di 28 giorni delle compagnie telefoniche?

(immagine presa da www.ispazio.net)

Qualche settimane fa la mia compagnia telefonica, mi ha comunicato che per loro il mese non dura più 30, 31 o 28 o 29 giorni, ma sempre 28, cioè quattro settimane. Una rivoluzione copernicana. Ma visto che non siamo più nel MedioEvo nessuno li taccia più di eresia. Nessuno protesta, nessuno si lamenta. E loro intascano soldi.

é vero che in un mese ci sono 4 settimane, ma non durano 28 giorni tutti i mesi, c'è una sola eccezione che è Febbraio, che le compagnie telefoniche hanno deciso di far diventare la regola. Hanno rivoluzionato un calendario che è in vigore da 2000 anni solo per guadagnare diversi euro in più su ognuno di noi, milioni di euro se si calcolano tutti gli abbonati in Italia, ormai tutti hanno uno smartphone con piano dati annesso. 
Facciamo qualche conto prendendo ad esempio il mio piano tariffario: prima pagavo 12 euro al mese per 30 giorni, adesso pago sempre la stessa cifra per 28 giorni. Vediamo la differenza. 
Un anno è composto di 365 giorni, quindi con i mesi da 30, in un anno avrei coperto 360 giorni, quindi con una differenza di 5, che avrei pagato in più ogni anno e che in 6 anni mi avrebbero portato un aumento di 12 euro. Ogni sei anni avrei pagato 12 euro in più. Un prezzo decisamente accettabile. Alla fine dell'anno avrai pagato 12 euro per 12 mesi, quindi 144 euro annui. 

Nell'ipotesi attuale dei mesi di 28 giorni, già perdiamo 2 giorni al mese, ovviamente a favore delle compagnie. Facendo un rapido calcolo, per coprire i 365 giorni annui io pagherò 13 mesi, perché con 12 arriverei a mala pena a coprire 336 giorni. Quindi in pratica alla fine pagherò 13 mesi (12 per 13 mesi di 28= 156) per la cifra di 156 euro annui, con un giorno che mi avanza, perché riesco a coprire 364 giorni. In pratica spenderò  12 euro in più l'anno, un euro al mese, perché loro hanno deciso così, senza che nessuna legge sensata glielo possa impedire. Nessuna protesta di noi consumatori, nessun impedimento legislativo.
Con questo stratagemma le compagnie telefoniche intascano ben 1 euro al mese in più da me, moltiplicatelo per i milioni di utenti vittime di questo cambiamento epocale! Sono milioni di euro che le nostre compagnie ci prendono in tasca e lo mettono nel loro portafoglio. Vi sembra giusto?

Schema riassuntivo (ESEMPIO)

MESI DA 30 - 

COSTO MENSILE: 12 EURO 

SPESA ANNUALE: 12 x 12= 144 euro (copertura di 360 giorni)

MESI DA 28

COSTO MENSILE: 12 EURO

SPESA ANNUALE: 12 X 13 = 156 EURO (COPERTURA DI 364 GIORNI)

AUMENTO NETTO DI 12 EURO ANNUI, 1 EURO PER OGNI MESE REALE PER OGNI CONSUMATORE PER MILIONI DI UTENTI. 

mercoledì 6 aprile 2016

Kurt Cobain, montage of heck


Kurt Cobain è un cantante che rappresenta moltissimo per me, a distanza di 22 anni dalla sua scomparsa (5 aprile 1994, avevo 9 anni e non avevo minimamente l'idea di chi fosse) , ascolto ancora quotidianamente gli album dei Nirvana che continuano a suscitarmi emozioni, ricordi, sensazioni. Cobain rappresenta per me la figura di un genio della musica che non è riuscito ad adattarsi a questo brutto mondo, tanto da sentirsi costretto a lasciarlo a soli 27 anni, proprio quando da questo mondo veniva sì accettato, ma anche vivisezionato e fatto a pezzi quotidianamente. Tutta la ricchezza e la fama non hanno significato niente per lui, questo mondo era troppo complesso e lo aveva rifiutato già troppe volte. 
Ho visto ultimamente il documentario "Cobain: montage of heck" del regista Morgen, che è riuscito ad accedere a filmati, registrazioni ed altre rarità con la complicità della figlia e della ex moglie del cantante. Non le trovo mai operazioni sensate quelle di andare a scovare nelle rarità e nell'intimità di una leggenda del rock come lui, ma d'altra parte anche io ero curioso di vedere cosa ne fosse uscito fuori. E devo dire che personalmente il documentario mi è piaciuto molto, restituisce un quadro dell'artista nudo e crudo, anche se ovviamente un indirizzo (un punto di vista) da parte del regista e della famiglia sarà stato inevitabilmente dato, ma ognuno è libero di interpretare come vuole quello che vede.  
Per me che non ho vissuto direttamente quegli anni,  l'ascesa dei Nirvana al vertice del rock mondiale, questo docu-film è stato preziosissimo per ricostruire il clima dell'epoca, soprattutto dopo l'esplosione del fenomeno Nirvana. Nella prima parte viene fuori un ritratto privato e tutta la crescita personale dell'uomo, reso fragile da una separazione traumatica dei genitori e dal rifiuto conseguente che ricevette prima in famiglia e poi a scuola, per finire nella società del tempo. Ne viene fuori un ritratto di una persona geniale ma allo stesso tempo fragile, debole e insofferente. Circondato da un mondo che non accetta e non condivide, in cui si sente ostaggio e prigioniero, alla ricerca di una felicità e di una normalità mai trovata, con un vuoto dentro che non verrà mai colmato, neanche dalla fama, dai soldi e dalla notorietà, che si trasformeranno in un boomerang pochi anni più in là. 
Nella seconda parte del documentario, vengono messi in evidenza gli attacchi della stampa, l'invasione della privacy, la curiosità morbosa dei media e l'amore per la moglie e per la figlia sempre attenzionata da servizi sociali e media. Una persona che si è sempre sentita rifiutata e mai accettata, anche nel momento in cui c'erano milioni di persone che lo adoravano e amavano, pronti a proclamarlo come profeta di un'intera generazione. 
Ma la sua iper sensisbilità non gli ha permesso di prendersi la responsabilità di questo ruolo, troppo grande per lui. 
Un iper sensibilità che lo porta a prendere 67 pasticche di sonniferi solamente per il fatto di aver saputo che la moglie aveva avuto il pensiero di tradirlo, solamente un mese prima di quel fatidico aprile di 22 anni fa. Un mese dopo la tragica decisione che ci ha privato di una delle menti più geniali che la musica rock abbia mai espresso. Cosa avrebbe potuto fare Kurt Cobain in questi anni, musicalmente parlando, purtroppo, non lo saprà mai nessuno, abbiamo certamente perso un valore inestimabile, un contributo che poteva essere davvero preziosissimo. Ma d'altra parte,"With the lights out, it's less dangerous..."