sabato 23 maggio 2015

Pressione sociale

(Immagine presa dalla fantastica pagina Facebook "se i quadri potessero parlare" Clicca qui per visitarla )

La "pressione sociale" è quel fenomeno secondo cui ognuno è spinto dalla società a fare nella vita quello che è socialmente accettabile, senza deviazione alcuna. Altrimenti se non si segue questo percorso si corre il rischio di essere emarginati, o nella maggior parte dei casi, visti come "strani" o "particolari". 
Una vita socialmente accettabile nel nostro paese è: si nasce, si cresce, si va all'asilo, poi alle elementari, alle medie, alle superiori, si cerca una fidanzata, si va all'università o a lavorare, ci si sposa, si fanno dei figli, si porta avanti la famiglia, si va in pensione e poi fine, "The end". Per dirlo meglio userò l'incipit del film Trainspotting, molto più incisivo e tremendamente efficace "Scegliete la vita; scegliete un lavoro; scegliete una carriera; scegliete la famiglia; scegliete un maxitelevisore del cazzo; scegliete lavatrici, macchine, lettori CD e apriscatole elettrici. Scegliete la buona salute, il colesterolo basso e la polizza vita; scegliete un mutuo a interessi fissi; scegliete una prima casa; scegliete gli amici; scegliete una moda casual e le valigie in tinta; scegliete un salotto di tre pezzi a rate e ricopritelo con una stoffa del cazzo; scegliete il fai da te e chiedetevi chi cacchio siete la domenica mattina; scegliete di sedervi sul divano a spappolarvi il cervello e lo spirito con i quiz mentre vi ingozzate di schifezze da mangiare. Alla fine scegliete di marcire, di tirare le cuoia in uno squallido ospizio ridotti a motivo di imbarazzo per gli stronzetti viziati ed egoisti che avete figliato per rimpiazzarvi; scegliete un futuro; scegliete la vita. Ma perché dovrei fare una cosa così? Io ho scelto di non scegliere la vita: ho scelto qualcos'altro. Le ragioni? Non ci sono ragioni." 
Se si devia da questo copione ben strutturato e pronto per noi non è che gli altri siano molto felici. Quindi questi "altri" rappresentanti della società, si interessano alle nostre vicende controllandoci, cercando di essere sicuri che stiamo davvero facendo quello che va fatto. E lo fanno facendo delle domande, poco originali, poco intelligenti. 
Nel mio caso, essendo disoccupato, le persone si sono bloccate nella fase "Hai trovato lavoro?". Ecco, la domanda che al momento mi manda in tilt il cervello, mi rende insicuro e nervoso, mi fa venir voglia di non incontrare più nessuno per non dover rispondere a questa domanda. Tre semplici parole che rovinano giornate intere, dal punto di vista del mio umore ovviamente. Per il disoccupato una frase del genere è insopportabile, almeno per quelli come me che non ne possono più. Sono ormai due anni che me la sento chiedere e non ce la faccio più. Ma se avessi trovato davvero un lavoro, lo terrei nascosto a tutti? Rimarrebbe un segreto? O pensano che lavori per la Cia o per qualche agenzia segreta? Se davvero lavorassi in un'agenzia segreta questo tormentone non mi abbandonerebbe mai, quindi non invierò mai un curriculum alla Cia, altrimenti dovrei stare una vita a cercare scuse per rispondere a questa domanda. é ovvio che no, non ho trovato niente, quindi cosa me lo domandi a fare? Lo avresti saputo no? Non è che fai il mio bene, anzi. Ogni volta che me lo sento chiedere mi cade il mondo addosso. Vorrei sparire proprio. 
Ma questa delle domande di controllo è una storia molto lunga che inizia sin da quando siamo piccoli, anche se a scontarle sono i nostri genitori. Si comincia con tutti che vogliono sapere se dormiamo e se mangiamo. Bene. Poi "va all'asilo?" ovvio che no, sono autodidatta. Dalle elementari si pretende il rendimento, quindi si passa al "come va a scuola?", in macchina, a piedi o con il bus. Questa domanda ci accompagna fino alle scuole medie quando si comincia a chiedere quale scuola superiore si è scelto e tutti hanno da dire la loro sulla scuola da scegliere. Scelta la scuola si ripassa al "come va a scuola?" bene, male, non lo so. "S'è fatto la ragazzetta?", ovviamente non in senso sessuale, ma di fidanzamento, perché ci si sta facendo grandi e secondo la società è ora di trovare fidanzata. Finite le superiori si passa al "Università o lavoro?". Fortunatamente questo è un periodo che riguarda solamente il quinto anno di superiori. Se la risposta è "Farò l'università" si continua la discussione riguardante la scelta dell'ateneo da frequentare, dove e cose del genere. Ci si iscrive all'università e subito il giorno dopo aver iniziato si comincia con un tormentone che durerà per tutto l'arco del tempo di frequenza "Quanti esami ti mancano a finire?". Neanche cominci e già devi finire...Sono stati lunghi sei anni di università a rispondere "52" o "10" o "5" fino al fatidico "Ho finito, fanculo te e gli esami!". è molto dura la questione della pressione sociale, è estenuante, fastidiosa, ma sono i controllori della pressione sociale ad essere i più odiosi. Dopo essermi liberato della domanda sull'università mi sono ritrovato anche senza lavoro e quindi  "Hai trovato lavoro?" è diventato il tormentone al quale al momento sono fermo. 
Ma so che non è finita qui. I controllori, appena troverò un lavoro, inizieranno con "Ma quando ti sposi?" e poi "E i figli?" e via dicendo.  I controllori a quel punto abbandoneranno l'adulto per ricominciare con le domande sui figli...è un circolo vizioso che non finisce mai. Io bene o male sto seguendo l'iter della vita che ci si aspetta da me, sto bene così, però immagino che vita d'inferno quella di una persona che decide di non sposarsi, di chi decide di non avere figli, di chi non si sposerà con uno di sesso diverso, di che per scelta di vita decide di non lavorare, di chi decide di scegliere diversamente dal ciclo di vita che la pressione sociale ci impone. Una vita d'inferno, i controllori li braccheranno senza pietà fino allo sfinimento! Anche se una risposta netta, diretta e decisa potrebbe allontanarne qualcuno che non avrà più il coraggio di continuare a farvi questa domanda. La risposta segreta è "Sono affari miei!". In varie versioni e con tutte le parolacce che volete a condimento. A quel punto alle spalle vi considereranno strani, particolari, deviati, da evitare. Emarginati. Ma a quel punto, che cosa ci interessa di chi abbiamo alle spalle?

Altre questioni psicologiche le ho trattate qui: La psicologia del disoccupato: Dieci rimedi e qui  La complessa psicologia del disoccupato
Sugli stereotipi qui: Le case popolari

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